Non sta mai ferma/o… è tranquilla/o solo quando dorme

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Ci sono bambini, in particolare nell’età della scuola dell’infanzia (3-6 anni) instancabili e curiosi a cui spesso è difficile stare dietro. Un bambino estremamente vivace ha tutti i tratti del temperamento amplificati. E’ molto sensibile, energetico, motoriamente espressivo e manifesta la gioia e la rabbia con estrema facilità. Le manifestazioni comportamentali che caratterizzano un bambino vivace non sono solo percepite come eccessive, ma presentano una frequenza e continuità elevata, che condiziona la capacità del genitore di trovare un buon equilibrio fra intervenire troppo e intervenire troppo poco.

Spesso le eccessive stimolazioni derivanti da un numero elevato di attività, le gelosie dovute all’arrivo di un fratellino o di una sorellina, il bisogno fisiologico di muoversi all’aria aperta e la richiesta costante di attenzione possono dare vita ad una serie di manifestazioni comportamentali “incontenibili”. E’ importante, come genitore, comprendere questa serie di comportamenti, come la comunicazione di un bisogno, ricordando di dare valore a tutto questo perché espressione libera e senza filtri del proprio bambino. L’accettazione priva di giudizio pone noi genitori in una posizione di accoglienza rispetto a questa particolare esuberanza espressiva del nostro bambino. Infatti attraverso il loro continuo “sconfinare” i nostri figli esprimono il bisogno di attirare la nostra attenzione e la richiesta di un maggiore contenimento da parte delle figure genitoriali.

Vivere con un bimbo estremamente vivace non è semplice, a causa dell’esuberanza spesso caotica e imprevedibile dei suoi atteggiamenti. Questa suo modo di esprimersi condiziona inevitabilmente i genitori, gli insegnanti e i compagni, ma anche e soprattutto lo sviluppo cognitivo e comportamentale dei bambini stessi. Spesso si crea un vero e proprio condizionamento sul bambino a causa dei feedback negativi che riceve in risposta alla sua espressiva vivacità.

Spesso il genitore vive un senso di frustrazione e inadeguatezza rispetto all’eccessiva vivacità del figlio. La sua difficoltà a contenere e comprendere tale irrequietezza lo spinge, alcune volte, a percepirsi come genitore inefficace trasmettendo al bambino sentimenti di rabbia e impotenza. Tutto questo influenza negativamente la percezione che il bambino ha di sé condizionando lo sviluppo di una sana autostima e senso di efficacia, fondamenta necessarie per crescere. I bambini devono essere incoraggiati a sviluppare il loro potenziale, non etichettati.

Come genitore mi rendo conto delle difficoltà che si incontrano quotidianamente nel vivere con bambini estremamente vivaci. Il primo passo è ascoltarsi per comprendere quali emozioni risveglia in noi il comportamento di mio figlio. L’ascolto delle nostre emozioni come genitori ci permette di riconoscere ed eventualmente esprimere una serie di emozioni, spesso poco piacevoli, che inevitabilmente tendiamo a nascondere.

Il secondo passo è mettersi alla sua stessa altezza, guardandolo negli occhi e parlando con tono di voce dolce e moderato, facendo leva sui punti di forza del nostro bambino, quali l’energia e la sua creatività. Nei momenti di crisi il genitore può fermare il flusso di vivacità attraverso un abbraccio che sospende l’azione e che conquista l’attenzione del bambino. Attraverso un sano contenimento e dei confini ben definiti, il bambino percepisce la presenza del genitore non come giudicante, ma accogliente. La fermezza e la coerenza delle regole fornisce al bambino degli argini in cui sentirsi più sicuro.

E ricordiamo che la vivacità nei nostri bambini è un diritto, e come tale va rispettata e accolta.

Cecilia Gioia

Il passaggio dalla scuola materna alla scuola elementare: le emozioni dei bambini e dei genitori.

primo-giorno-di-scuola-1-1L’ingresso alla scuola elementare coinvolge il bambino e i genitori in un momento estremamente delicato che segna l’abbandono della fase del gioco e un significativo passaggio di autonomia.

Il genitore deve fornire un ambiente rassicurante che permette al bambino di sintonizzarsi ed esprimere le sue emozioni rispetto a questo nuova avventura. Gioia, paura, ansia, curiosità accompagnano questo delicato passaggio e necessitano di essere riconosciute dal bambino e accolte . I genitori possono condividere queste emozioni col bambino, magari raccontando il loro primo giorno di elementari.

Dal punto di vista pratico, i genitori sosteranno il bambino in questa fase di responsabilizzazione e di crescita attraverso piccole azioni funzionali per aiutarlo nei primi giorni. La cura del materiale scolastico (lo zaino, i vestiti), il rispetto degli orari, l’ascolto degli insegnanti stabiliscono una routine che da sicurezza, perchè occasione di confronto e di accudimento, utile per condividere il reciproco vissuto emotivo.

Fare il genitore è un mestiere che si apprende con il tempo e con l’esperienza. Come bismamma e psicoterapeuta che lavora con i genitori non amo parlare di errori, ma di scelte funzionali o meno per quella situazione. Noi genitori siamo competenti, anche se alcune volte lo dimentichiamo. Un buon strumento rispetto a questo delicato passaggio è l’ascolto attivo e partecipe delle emozioni del nostro bambino, che spesso si mescolano alle nostre. Ansia, speranza, fiducia e paura accompagnano i primi giorni di scuola di noi genitori e possono condizionarci in alcune scelte non sempre “utili” ai fini dell’inserimento. Ritagliamo degli spazi e dei tempi per raccontare ai nostri figli il nostro stato d’animo, promuoviamo l’autostima inviando messaggi di fiducia nelle loro capacità, accogliamo le loro paure e difficoltà, sospendiamo il giudizio ed evitiamo soprattutto di dare “buoni consigli” ma promuoviamo in lui strategie di problem solving.

E’ importante ricordare che i bambini non fanno capricci ma utilizzano delle azioni per esprimere il loro disagio. In particolare un bambino che non vuole andare a scuola ci sta raccontando qualcosa di molto importante, basta solo ascoltarlo attivamente sospendendo il giudizio evitando di ricorrere a piccoli ricatti genitoriali. Cosa fare? Richiamiamo a noi una buona dose di pazienza e facciamoci raccontare da lui il suo disagio. Spesso è proprio la paura del distacco o del nuovo che trattiene il bambino, aiutarlo a riconoscere queste emozioni senza sminuirle può essere il primo passo per affrontare questa situazione. La scuola elementare rappresenta un buon banco di prova dove il bambino sperimenta delle interazioni sociali più complesse. Alcune volte possono comparire delle difficoltà relazionali nell’ambiente classe. Se parliamo di un episodio singolo, accogliamo la richiesta del nostro bambino di essere rassicurato. Se gli episodi si ripetono chiediamo alle insegnanti ulteriori informazioni, cercando di risalire ad un eventuale antecedente per comprendere meglio. Non giudichiamo e sminuiamo le sue lacrime, ma proviamo insieme a dargli un senso. Stabiliamo insieme a lui una routine quotidiana, decidendo insieme degli spazi dedicati al gioco. Concordiamo gli orari e le sequenze temporali, mantenendo sempre una coerenza che rassicura. Trasformiamo lo spazio dei compiti come un momento emozionante, un’occasione per stare insieme e condividere nuove scoperte. Accogliamo le sue difficoltà iniziali, ma manteniamo sempre una routine al programma che abbiamo concordato insieme. L’acquisizione di nuove regole è un processo che presenta tempi soggettivi. Molti bambini faticano nei primi periodi a rimanere “dentro” le regole di classe. Concordiamo con l’insegnante delle piccole strategie da proporre anche a casa, cercando di mantenere una coerenza scuola/famiglia. Infatti, la totale condivisione di una regola, ne aiuta l’accettazione.

E allora buona scuola a tutti!

Cecilia Gioia

Chi è l’ALTRO?

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Mi chiedo quanto sia complesso accogliere l’altro.

E’ un pensiero che accompagna spesso le mie riflessioni quotidiane “costringendomi” a sostare e “sentire” il brontolio rumoroso delle mie emozioni di pancia che risuonano ricordandomi quanto lavoro “voglio” fare per imparare a fare spazio all’altro.

Si, perché l’esercizio quotidiano non basta, c’è bisogno di una consapevolezza costante dei propri limiti e difficoltà, accogliendo anche piccole e grandi delusioni che la vita ci dona impreziosendo il nostro cammino.

Ecco, alcune volte si fa davvero fatica ad accogliere.

Forse perché l’altro ci ricorda aspetti di noi che ci fanno sentire scomodi, o forse perché ha deluso le nostre aspettative, o semplicemente perché non abbiamo spazio.

Lo spazio, elemento necessario per accogliere incondizionatamente, ascoltando i rumorosi silenzi che il conTatto con l’altro ci regala.

Lo spazio come luogo per so-stare, per rispecchiare sfumature di emozioni e di bisogni.

Lo spazio per amare chi è diverso da noi, e chi non vuole essere amato.

Che viaggio complesso e affascinante è la relazione con l’altro!

Che occasione di crescita e di messa in discussione quotidiana ci regala la continua ricerca di un linguaggio comune e accogliente!

Che dono incredibile è la vita, anche quando non si presenta a noi come vorremmo.

E soprattutto che mondo distratto!

Continuiamo a cercare in una frenetica corsa contro il tempo le risoluzioni a tutti i nostri problemi, quando in realtà siamo noi stessi le nostre risposte e l’incontro con l’altro diventa poi un’occasione per rivelarci e scoprirci. Competenti.

E i disturbi d’ansia, la distimia che ci attanaglia, il tono dell’umore spesso basso, la continua ciclotimia che ci rende sempre più vulnerabili lascia il posto alla consapevolezza piena di ESSERE nel mondo come protagonista, non come spettatore.

E l’altro, anche quello così diverso da me, diventa risorsa inesauribile di conoscenza e di vita PIENA. E lo spazio magicamente accoglie e sostiene l’incontro con l’Altro ME, nutrendosi di differenze e scoprendo nuovi bisogni.

Iniziamo oggi, proviamo a fare spazio.

Cecilia Gioia 

Hai il diritto di manifestare il tuo comportamento, i tuoi pensieri e le tue emozioni…

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Diciamo che quando si parla di diritti, mi sento decisamente “comoda”, e poi il mondo femminile è la mia casa e ci sto bene;  allora inizio questo viaggio, curiosa e impaziente, condividendo il primo diritto, per noi donne e mamme:

1. Hai il diritto di manifestare il tuo comportamento, i tuoi pensieri e le tue emozioni, e di assumerti la responsabilità di realizzarli, accettandone le conseguenze.

Finalmente l’ho scritto, lo rileggo, lo riconosco, sorrido, ma….cosa risuona in me, in noi e nelle nostre pance?

Iniziamo da un primo livello, il riconoscimento dei nostri comportamenti, dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, attraverso un “genuino” ascolto, un momento in cui sospendere il giudizio e la doverizzazione, per sintonizzarci su noi stesse.

Ma quando è stata l’ultima volta che lo abbiamo fatto? Quando ci siamo soffermate su di noi, eliminando ogni rumore interferente per ascoltare quella voce, spesso poco percettibile, ma presente?

Domanda semplice, a cui spesso facciamo fatica a rispondere, ma vi e mi invito a chiedercelo, in questo viaggio nel nostro cuore e nella nostra pancia.

Un secondo livello che emerge in questo diritto è la capacità di comunicare i nostri comportamenti, i nostri pensieri e le nostre emozioni, con una libertà espressiva nutriente e individuale, scegliendo tra i molteplici strumenti comunicativi che legittimano il “sentirsi” in maniera consapevole.

Ma noi, donne e mamme che leggiamo questi pensieri, quanto comunichiamo? O meglio, quanto la nostra comunicazione è fluida e quanto alterata o inibita da filtri ansiosi interferenti? Caspita, mentre scrivo risuonano in me mille episodi della mia vita, in cui non mi sono riconosciuta il diritto di comunicare liberamente, e devo dire che questi ricordi mi fanno sentire decisamente “scomoda”.

E proprio questa considerazione mi permette di introdurre un nuovo livello di riflessione, la consapevolezza dei nostri diritti, come base solida su cui costruire il rispetto per noi stesse e per gli altri.

Lavorare con le donne e le mamme è un dono di un valore inestimabile, una ricchezza inesauribile che si genera da ogni incontro, dove le emozioni hanno un ruolo centrale nelle relazioni che si instaurano attraverso sguardi e con-tatti di storie e vissuti.

Ed è proprio la molteplicità di questi incontri che sottolinea la difficoltà in noi donne di accogliere questo “sentirci” consapevoli dei nostri diritti. E’ di fondamentale importanza riconoscerli, e attraverso il principio di reciprocità,  ri-conoscere gli stessi diritti nell’altro, attribuendo a noi stesse un ruolo attivo e gratificante nella relazione.

Capite bene che fare questo consapevolmente, scegliendo e scegliendosi, è quanto di più efficace possa esistere per stabilire relazioni interpersonali “solide” e “di rispetto”, e allora perché non farlo?

Il quarto livello si caratterizza attraverso la disponibilità ad apprezzare noi stesse e gli altri.

Questo implica una buona autostima e la capacità di valorizzare gli aspetti positivi dell’esperienza attraverso una visione funzionale e costruttiva del proprio ruolo in famiglia, nel lavoro e nella società.

Bene, soffermiamoci un attimo, facciamo un bel respiro e proviamo a ricordare l’ultima volta in cui abbiamo abbracciato noi stesse regalandoci un ”brava, sono orgogliosa di me; e se questo ricordo fatica ad arrivare, poco male, iniziamo da oggi a “nutrirci” di autostima, una prescrizione che fa bene e – udite udite – non presenta controindicazioni.

L’ultimo livello è relativo alla capacità di mantenere un’immagine positiva di noi stesse,  stabilendo un rapporto di fiducia e di sicurezza personale.  Come donne e mamme, iniziare a percepirci come buone risolutrici di problemi non è poi così difficile. Ogni giorno ci confrontiamo con piccoli conflitti interni e difficoltà, e le nostre strategie  spesso si rivelano utili per fronteggiare una quotidianità non sempre semplice.

Ed ecco, che anche in questo caso, gratificarsi con un semplice “brava” o consolarsi con un “poco male, andrà meglio la prossima volta”, diventa un metodo strategicamente nutriente per viversi.

In fondo basta poco per mantenere il nostro “ambiente interno” accogliente, quindi proviamo a dedicare meno attenzioni alla nostra casa “esterna” e tante coccole e ascolto a quella” interna”, perché la scoperta di noi stesse non sia più percepita come un obbligo, ma come una fisiologica necessità.

Cecilia Gioia

tratto da: www.bambinonaturale.it

Distillando gocce di me.

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Esiste un lavoro che accoglie, ascolta,

respira e rispecchia le mille sfumature della psiche.

E fa tutto questo ogni giorno, mentre raccoglie lacrime e personalità in crescita.

E’ un lavoro coraggioso, perché ricorda il passato, ascolta il presente e disegna il futuro, vivendo contemporaneamente piani paralleli di racconti di vita.

Lo fa delicatamente, sostando nelle mille pieghe della narrazione di Sè, in un silenzio nutriente che fa e sa riflettere.

E poi è magico e avventuroso e riesce, in un pomeriggio di lavoro, a portarti sulle montagne russe della vita altrui per scoprire scenari spesso sottovalutati, regalando panorami mozzafiato.

E se ha la fortuna di aprirsi all’evento nascita, dona l’emozione del “primo sguardo” verso il mondo, di un cucciolo di uomo e della sua mamma. Si, perché il mio lavoro fa tutto questo e altro ancora abbracciando i cicli di vita, e le emozioni che le accompagnano.

Lo fa ogni giorno mentre sfiora la vita e spesso accompagna la morte, in un costante bilico di freudiana memoria.

E mentre tutto scorre, il mio lavoro raccoglie sassolini e frammenti di un Sè in rinascita, lentamente, rispettando la giusta distanza.

Spesso osa, richiede nuovi spazi e propone cambiamenti.

Ha bisogno di nutrimento quotidiano, il mio lavoro.

Necessita di fiducia, di autostima, di coraggio e di silenzi, elementi essenziali per sostenere contenuti spesso scomodi.

E vive di CON-TATTO, energia vitale che fa crescere consapevolezza e apertura verso l’altro.

E’ un lavoro alchemico, denso di silenzi assordanti, che logora e rigenera chi lo pratica.

E’ un lavoro ancora oggi scarsamente conosciuto e questo alone di mistero, lo ammetto, mi delizia.

E’ arte e scienza, elementi fondamentali per una conoscenza profonda e consapevole della psiche umana, un non luogo dove è facile perdersi e ri-conoscersi.

Ecco perché necessita quotidianamente di una bussola, di un continuo lavoro su luci ed ombre del proprio Sè, atto fondamentale per sopravvivere alle emozioni altrui, senza perdersi.

E’ un lavoro che amo, è il mio lavoro e lo celebro.

Ogni giorno.

Cecilia Gioia

L’AutoMutuoAiuto: un mistero che profuma di PRESENZA.

H. Matisse -La danza-  Tra lunedì e martedì ho salutato, prima delle vacanze, i tre gruppi di automutuoaiuto che ho il privilegio di facilitare.

Tre gruppi diversi, con storie completamente differenti ma con un obiettivo comune: imparare la PRESENZA e la GIUSTA DISTANZA.

Impresa alquanto ardua, ma si sa, a me le sfide piacciono soprattutto se permettono di esplorarsi rispettando tempi e spazi squisitamente soggettivi, per trasformare tutto questo in risorse da cui attingere.

Gruppi diversi, contenitori e contenuti di emozioni e storie, luoghi in cui è facile sostare, dopo una lunga traversata che è la vita.

I gruppi di automutuoaiuto sono questo ed altro ancora.

Sono opportunità.

E sono fieri del loro nome. Un nome condiviso e scelto, dopo essersi incontrati. Perché ogni incontro è una scelta, un fare spazio nell’accoglienza dell’altro me, adottando la giusta distanza e promuovendo il ConTatto attraverso l’Ascolto.

Ed io come facilitatrice non posso fare altro che raccogliere briciole di estrema bellezza che profumano di relazione e di rispetto.

Nomi che raccontano scelte dense di significati, nomi che aprono un mondo spesso sconosciuto perché poco ascoltato, cuori che si aprono in un’ottica di sorellanza e fratellanza.

Parole in Contatto: gruppo di genitori per il sostegno del lutto perinatale

Il gomitolo rosso: gruppo di donne per l’endometriosi

Le ragazze del cerchio: donne operate di tumore al seno

sono tre realtà meravigliose presenti nella mia città.

Sono un’opportunità, energia allo stato puro che ogni componente rinforza quotidianamente, trasformando lacrime in accoglienza, imparando ogni giorno il dono del silenzio; e  scoprendo risorse individuali e di gruppo, migliorando la percezione di sè come “capace” di prendersi cura di sé stesso e del gruppo, in un’ottica di valorizzazione e di fiducia.

E l’IO si trasforma in NOI, in un processo di cambiamento che fa bene. Davvero.

Cecilia Gioia

Mi voglio bene

volersi-bene-1Ho deciso quindi, di volermi bene. Davvero.

Provo a farlo ogni giorno, con gesti e pensieri che strategicamente si trasformano in piccoli rituali di attenzioni, ricordando a me stessa chi sono.

Ho deciso di ripetermi ogni giorno “io sono una bella persona” e di credere completamente al valore di queste parole che svelano il mio essere nel mondo, consapevolmente.

Perché questa vita è un dono e va celebrato, con gesti amorevoli e accudenti.

Perché non posso accogliere l’altro Me se faccio fatica a riconoscermi nei miei bisogni. E non li accolgo.

Perché davvero credo che ognuno di noi è un “essere speciale” e che il suo stare sulla terra sia un’occasione unica da scoprire.

Perché se imparo a rivolgermi a me stessa amorevolmente, la mia comunicazione interpersonale migliorerà.

Perché se mi abbraccio e sono felice, le mie braccia impareranno a riconoscere le meravigliose differenze individuali delle persone che incontreranno.

se mi osservo e imparo a conoscermi, il mio ascolto diventerà ampio e farà spazio ai bisogni dell’altro Me.

se mi esercito al silenzio nutriente con me stessa, imparerò a fare a meno del rumore di sottofondo che la relazione con l’altro spesso comporta.

E imparerò a guardarmi amorevolmente, riempiendomi di vita e di promesse.

Si, perché di promesse si tratta. Di sigilli e di speranze che quotidianamente consolidano un complesso rapporto, ahimè spesso ambivalente, con noi stessi, fatto di odio e amore e di scarsa accettazione di sé.

Ecco, io a questo modo di viversi voglio dire basta, imparando a volermi bene.

In ogni attimo, perché scintilla consapevole di me.

Cecilia Gioia

Educare alle emozioni

Foto dal web

Foto dal web

La qualità della vita di ogni individuo è influenzata dal modo in cui egli apprende, fin dai primi anni, a riconoscere e ad affrontare le proprie emozioni.

Tra le mille strategie proposte a noi genitori, emerge spesso l’educazione emotiva. Questo approccio consiste nel proporre al nostro bambino gli strumenti di base per riconoscere ed esprimere le emozioni, una sorta di “alfabetizzazione emozionale” (Di Pietro M., 1999) che promuove la riduzione del disagio emotivo.
Educare la mente del bambino, sollecitando l’intelligenza emotiva, favorisce l’espressione di reazioni alle emozioni equilibrate, e soprattutto funzionali.  Attraverso la relazione si aiuta il bambino a minimizzare l’effetto di stati d’animo spiacevoli, favorendo contemporaneamente l’esperienza e l’espressione di emozioni positive.
Tutto questo attraverso il gioco e il racconto, in un allenamento costante che permette di sviluppare nel nostro bambino una serie di “anticorpi” alle frustrazioni e alle emozioni spiacevoli. Oggi il concetto di intelligenza multipla considera l’intelligenza emotiva uno strumento elettivo per  riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, che consente di controllare efficacemente lo stress perchè permette di “rivalutare” l’evento che è stato causa del disagio.

Modificando il proprio dialogo interno, ossia il modo in cui il bambino parla a se stesso quando interpreta e valuta ciò che gli accade, si crea una vera e propria vaccinazione psicologica allo stress. Tutto questo permette di acquisire sempre più nuove strategie di problem solving che favoriscono nel bambino coinvolto, una percezione di efficacia perché “capace” di elaborare risposte positive e flessibili.

La psicologia cognitivo-comportamentale ha evidenziato che i meccanismi psichici che governano le nostre reazioni emotive sono da identificare negli aspetti cognitivi, ovvero nelle nostre modalità di pensiero.
Aiutando i nostri figli a correggere le “distorsioni” presenti nel loro modo di rappresentarsi la realtà, sviluppiamo in loro “nuove competenze” per supportare e superare le emozioni spiacevoli.
E allora mamme e papà, proponiamo in famiglia un allenamento quotidiano alle emozioni, i nostri figli apprezzeranno tantissimo e anche noi.

Cecilia Gioia

tratto da www.lenuovemamme.it

Oggi mi sento così….

Foto dal web

Foto dal web

E’ un gioco semplice, di facile comprensione ma fa tanto bene a grandi e piccini. In fondo soffermarsi sulle proprie sensazioni è un buon esercizio per tenere costantemente allenate la mente e soprattutto il cuore.
Si può giocare da soli oppure in compagnia, l’importante è riconoscerne il valore dell’esercizio quotidiano. Educarsi alle emozioni è un’abilità che va esercitata nel tempo ed ecco che la frase “Oggi mi sento così” ci apre al nostro mondo interiore e ci accompagna ad un ascolto attivo e nutriente di noi stessi. All’inizio si fa più fatica, non sempre è facile sintonizzarsi sui propri stati d’animo, riconoscerli poi spesso è un’impresa senza eguali, ma la voglia di sentirsi supera gradualmente i piccoli o grandi ostacoli incontrati.

Ed ecco che quelle parole prima sussurrate, poi legittimate ci fanno stare bene. L’aspetto interessante di questo gioco è l’estrema versatilità spazio- temporale:infatti, il contesto in cui avviene non è importante e non esistono regole o limiti ma una sana consapevolezza all’ascolto attivo, parte integrante per conoscersi e ri-conoscersi “dentro”.

Cecilia Gioia

tratto da: http://www.lenuovemamme.it

Hai il diritto di dire “Non so”.

Troppo spesso ci viene chiesto di sapere “tutto” o quasi, nonlosogif1costringendoci” a percepirci come fonte inesauribile di conoscenza. Pensiero, questo, quanto mai irreale, che regala frustrazioni e sensi di colpa e che inibisce un semplice e fisiologico “non so”.

Perché succede questo?
Potremmo provare a teorizzare il tutto attribuendo a noi stesse la difficoltà di ammettere la nostra ignoranza di fronte a domande a cuinon sappiamo rispondere, ma la pratica ci insegna la nostra predisposizione a fingere di sapere ciò che l’altro ci chiede.
Ecco perché scegliamo di annuire convinte, consapevoli di non sapere, per “donare” agli altri un’immagine decisamente irreale di noi , decidendo di “tradirci consapevolmente”, ogni giorno.
E se provassimo invece a rimanere fedeli a noi stesse, riconoscendo i nostri limiti e i nostri “non lo so”?

Ed ecco che fa capolino un diritto, più vero e concreto che mai: tu hai il diritto di dire “Non so”, quando si pretende da te una competenza che non hai.

In fondo tutto questo rappresenta la libertà di sostenere nuove esperienze e nuovi confronti, senza promuovere il pensiero tanto ansiogeno della “tuttologia” intrinseca che si autoalimenta, e allora perché non seguirlo?
Decidere di essere se stessi vuol dire scegliere di non tradire le nostre meravigliose differenze individuali che ci rendono sorprendentemente unici e speciali.
E poi rispettare e far rispettare i nostri confini con un sano “non lo so” ci fa star bene e ci libera dal peso del giudizio altrui, e finalmente leggere possiamo godere dei nostri limiti, percepiti come complici e non più come ostacoli.

Buon lavoro, a tutti.

Cecilia Gioia

tratto da http://www.bambinonaturale.it