Troppo spesso ci viene chiesto di sapere “tutto” o quasi, “costringendoci” a percepirci come fonte inesauribile di conoscenza. Pensiero, questo, quanto mai irreale, che regala frustrazioni e sensi di colpa e che inibisce un semplice e fisiologico “non so”.
Perché succede questo?
Potremmo provare a teorizzare il tutto attribuendo a noi stesse la difficoltà di ammettere la nostra ignoranza di fronte a domande a cuinon sappiamo rispondere, ma la pratica ci insegna la nostra predisposizione a fingere di sapere ciò che l’altro ci chiede.
Ecco perché scegliamo di annuire convinte, consapevoli di non sapere, per “donare” agli altri un’immagine decisamente irreale di noi , decidendo di “tradirci consapevolmente”, ogni giorno.
E se provassimo invece a rimanere fedeli a noi stesse, riconoscendo i nostri limiti e i nostri “non lo so”?
Ed ecco che fa capolino un diritto, più vero e concreto che mai: tu hai il diritto di dire “Non so”, quando si pretende da te una competenza che non hai.
In fondo tutto questo rappresenta la libertà di sostenere nuove esperienze e nuovi confronti, senza promuovere il pensiero tanto ansiogeno della “tuttologia” intrinseca che si autoalimenta, e allora perché non seguirlo?
Decidere di essere se stessi vuol dire scegliere di non tradire le nostre meravigliose differenze individuali che ci rendono sorprendentemente unici e speciali.
E poi rispettare e far rispettare i nostri confini con un sano “non lo so” ci fa star bene e ci libera dal peso del giudizio altrui, e finalmente leggere possiamo godere dei nostri limiti, percepiti come complici e non più come ostacoli.
Buon lavoro, a tutti.
Cecilia Gioia
tratto da http://www.bambinonaturale.it