Chi è l’altr*?

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Tema familiare per chi lavora quotidianamente nell’incontro dell’altr* e che apre inevitabilmente mille interrogativi.

Mai come in questo periodo risuona fortemente nella nostra coscienza individuale e collettiva il bisogno di ritrovare la radice che sta alla base della convivenza, ovvero la capacità di mantenere quotidianamente uno spazio intersoggettivo che favorisca la somma dell’io e del tu. In altre parole abbiamo bisogno di nutrirci di relazioni efficaci, incontrando l’altr*, imparando a stare in questo luogo per gustarne a pieno le differenze.

Entrare in questo “spazio intersoggettivo” significa imparare a so-stare nel paradosso dell’incontro:  l’altr* è colui che identifico fuori di me, separato, fuori dal mio campo personale, ed è nel suo essere fuori che può entrare dentro, in un’osmotico scambio di similitudini e differenze.

Spesso però, entriamo in relazione con gli altri non riconoscendo loro una propria identità. Questo si verifica quando non riusciamo a so-stare nel paradosso dell’incontro, considerando l’altr* un’estensione di noi stessi, una proiezione dei nostri valori attraverso cui rivivere esperienze passate o soddisfare i nostri bisogni.

Spesso questo accade e crea in noi l’illusione di possedere l’altro, alimentando e consolidando dinamiche di distruzione.  Ed è proprio in questo possedere che l’altr* viene percepito come oggetto, indipendentemente dalla relazione stabilita evidenziando un paradosso mai come in questi tempi attuale: chi alimenta il possesso è sol*, perché l’atto di possedere esclude la possibilità dell’incontrare.

Ecco perchè, in tempi così duri, abbiamo bisogno di stabilire relazioni con l’altr* per incontrare noi stessi. La relazione dunque si trasforma in uno specchio, non sempre comodo, che riflette immagini non sempre rassicuranti.

Ed è proprio nei riflessi scomodi che percepiamo il dolore dell’incontro, cercando disperatamente di allontarci da quel dolore, mettendo in atto, ahimè, strategie di evitamento e intolleranza. Odiamo l’altr*, lo percepiamo minaccios*, desideriamo che scompaia alla nostra vista, dimenticando che l’altr* è solo una delle mille variazioni di noi.

Perchè so-stare nell’incontro con l’altr* ci insegna a so-stare con noi stess*.

Perchè accogliere i riflessi scomodi dell’altr*, ci insegna ad accogliere e integrare tutte le nostre parti, tutti gli innumerevoli pezzetti che abbiamo sviluppato nella nostra esperienza di vita. Ed è in quell’unità individuale che è possibile aprirsi all’altr*, in modo autentico, scoprendo il gusto della diversità, come risorsa evolutiva per vivere.

Cecilia Gioia

 

La salute psicologica delle donne in gravidanza ai tempi del Coronavirus

23593357_1416201181812398_5087625289057612355_oIl primo studio italiano che ha valutato come lo stato di ansia, depressione e attaccamento materno fetale è influenzato dalla diffusione dell’infezione da Coronavirus nelle donne in gravidanza. Uno studio dell’Associazione di Volontariato Mammachemamme patrocinato dal Movimento Italiano Psicologia Perinatale(MIPPE)

 

La gravidanza, per la donna, rappresenta un periodo di trasformazioni fisiche ed emotive, di adattamento e continue scoperte. L’emergenza sanitaria rappresentata dalla circolazione del virus responsabile della COVID-19, sta avendo un notevole impatto sullo stile di vita della gestante

e sulla gestione della gravidanza. Durante il periodo di gestazione, una condizione cronica di stress, è uno dei più importanti fattori di rischio sia a livello fisico, psicologico che sociale. Lo stress sappiamo, è la risposta dell’organismo a stimoli nocivi che influenzano il suo equilibrio interno basale. Questa attivazione genera una tensione profonda nell’intero sistema manifestata da una serie di modificazioni psicofisiche e comportamentali atte a consentire all’organismo la reazione di difesa. Qualunque sia la natura dell’agente stressante, in questo caso il coronavirus, i meccanismi di adattamento che vengono innescati sono simili seppur orientati, da ognuno di noi, verso ciò che maggiormente percepiamo come vulnerabile o in pericolo. Questo conferma che si tratta di una risposta biologica primaria legata alla sopravvivenza, un meccanismo difensivo con cui l’ organismo si sforza di superare una difficoltà per poi tornare, il più presto possibile, al suo normale equilibrio operativo basale. Il tipo di stress che le donne in gravidanza stanno vivendo in questo periodo, è un tipo di stress che fino ad oggi non conoscevano, perché legato all’isolamento e alla riduzione dei contatti fisici, e mentre sempre più numerosi studi dimostrano come lo sviluppo fisico e mentale dipende dal contatto durante tutto il corso della nostra vita, ci chiediamo quale sarà l’impatto che questo tipo di condizione avrà sulle donne in gravidanza.

Attualmente le poche notizie disponibili su COVID-19 in gravidanza sono abbastanza rassicuranti, ma visto l’esiguo numero di studi, è comprensibile registrare una forte risposta di ansia nelle donne in attesa, che si orienta verso l’andamento della gravidanza, i figli, i parenti, il lavoro e il futuro in generale della società.

Lo studio SEG-Covid19, un’indagine epidemiologica promossa dall’Associazione di Volontariato Mammachemamme con il patrocinio del Movimento Italiano Psicologia Perinatale (MIPPE) vuole valutare come l’impatto mediatico dato dalla diffusione del Coronavirus sta influenzando la salute psicologica delle donne in gravidanza.

 

All’indagine, avviata il 14 marzo, hanno risposto oltre 1000 donne con un’età media di 32 anni, ugualmente distribuite nel territorio nazionale. Le donne con un’età media di gestazione di 26° settimana presentano le seguenti caratteristiche demografiche e cliniche: il 46% ha conseguito una laurea e il 58% ha un lavoro dipendente; il 61% è coniugata, mentre il 31% è convivente; infine il 65% versa in condizioni economiche modeste, mentre il 16% presenta difficoltà economiche. Dal punto di vista ginecologico, il 52% è alla prima gravidanza e il 40% alla 2° gravidanza. Il 26% ha avuto precedenti interruzioni di gravidanza, mentre il 14% ha in corso una gravidanza a rischio. Il 63% ha partecipato ai percorsi di accompagnamento alla nascita e il 65% intende farlo.

 

Come sono state valutate le mamme.

Per misurare la percezione di pericolo per la salute della gestante, del nascituro e dei suoi familiari dovuto alla diffusione del Coronavirus è stato costruito un questionario ad hoc. Alle donne si è chiesto di indicare su una scala likert l’intensità della loro preoccupazione riguardo l’impatto del Coronavirus sulla loro salute, sull’andamento della gravidanza, sui figli, i loro parenti, il lavoro e il futuro in generale della società. Il peso dei valori di questa scala insieme alle variabili cliniche-demografiche sono state inserite in un modello di regressione per misurare la loro influenza sui livelli di ansia, depressione e attaccamento prenatale.

I risultati dello studio

I valori di ansia di stato delle madri superavano i livelli di soglia di normalità (STAI-Y1: 55.5), come quelli relative alla depressione (BDI-II: 12.4). Per misurare l’attaccamento prenatale (APN) ovvero l’insieme di pensieri che la futura madre ha nei confronti del proprio feto e che aumentano di intensità con l’andamento della gravidanza, è stata utilizzata la Prenatal Attachment Interview. Nelle analisi preliminare l’attaccamento prenatale delle future mamme italiane risultava più basso nelle donne con più alto stato di ansia (r= -0.18; p-level< 0.0001) e depressione (r= -0.13; p-level= 0.0004).

 

Le analisi di regressione multipla dimostrano che i livelli di ansia di stato, depressione e l’attaccamento prenatale delle donne in gravidanza sono influenzati da tre variabili: la percezione di pericolo legato al Coronavirus, lo stato economico della famiglia e la presenza di altri figli. Nello specifico, l’alta percezione di pericolo per la diffusione del virus, le difficoltà economiche e la presenza di altri figli in famiglia, sono tutti fattori che aumentano lo stato di ansia e depressione delle gestanti, influenzando l’attaccamento prenatale (r2= 0.54; p-level < 0.0001).

 

Negli ultimi anni un numero crescente di studi ha messo in luce un’associazione tra l’ambiente delle prime fasi dello sviluppo di un individuo e il modo in cui l’organismo si formerà.

Un’analisi condotta sul cordone ombelicale, sulla placenta e sul sangue materno ha messo in evidenza che se la mamma vive un momento di forte stress e preoccupazione durante la gravidanza, il bambino che porta in pancia non solo registrerà questo stress ma ne sarà a sua volta influenzato. Questo principio alla base dell’epigenetica, ci insegna come le modificazioni biochimiche all’interno delle nostre cellule hanno la possibilità di alterare l’espressione di alcuni geni.

E’ importante sottolineare che l’espressione dei nostri geni è influenzata dall’interazione del nostro organismo con l’ambiente esterno. Nello specifico, i nostri risultati evidenziano l’importanza di attuare programmi di prevenzione per evitare che lo stato di salute psicologica delle donne in gravidanza, non solo in questo periodo, abbia il minore impatto possibile sulla donna, il nascituro e la famiglia.

Il contatto emotivo nell’evento nascita.

82451052_1507421709408608_9008107013258870784_nDa otto anni ho il privilegio di assistere l’evento nascita in sala parto o in sala operatoria, di celebrare il miracolo del “venire al mondo” attraverso gli strumenti che la mia professione mi ha insegnato, di sostare in silenzio entrando in contatto, mentre tutto si compie.

Da otto anni ho imparato come facilitare questo processo, restando un passo indietro, sintonizzandomi sui non detti e gli sguardi, in un contatto emotivo costante.

Perchè è questo che fa una psicoterapeuta durante l’evento nascita, stabilisce un contatto emotivo, sintonizzandosi empaticamente, cogliendo i bisogni della mamma, del papà e del bambino o bambina che viene al mondo, mantenendo uno sguardo costante sul clima che si instaura in sala parto o in sala operatoria e sugli operatori coinvolti.

La pratica clinica, l’esperienza di saper ascoltare “dentro”, l’esercizio quotidiano di so-stare nei pensieri, anche quelli più scomodi, la sospensione del giudizio, la consapevolezza del valore delle parole, il rispetto dei propri spazi, lo sguardo che mantiene il contatto oculare, e che sa andare oltre, la conoscenza della psiche e delle sue manifestazioni, la capacità di leggere i silenzi, la conoscenza del sistema famiglia in un’ ottica sistemica, l’abilità di entrare in relazione immediata e stabilire un’alleanza, sono alcuni degli strumenti che una psicoterapeuta può mettere a disposizione in sala parto e in sala operatoria.

Ecco perchè, credo fortemente nel valore della psicologia perinatale al servizio delle famiglie e degli operatori coinvolti nell’evento nascita.

Ecco perchè accolgo da otto anni tirocinanti postlauream o specializzande che vogliono avvicinarsi a questa branca della psicologia clinica, permettendo loro di aprirsi a questa possibilità formativa davvero potente, perchè trasforma lo sguardo e la visione della Persona. Imparare ad accogliere la nascita è un potente attivatore di risorse perchè apre canali sensoriali ed emotivi di cui spesso non siamo consapevoli, influenzando poi la nostra pratica clinica nei setting a cui siamo maggiormente abituat*. Accogliere la nascita e assistere al postpartum di una neomamma, ci permette di entrare in contatto con le nostre parti più intime, richiamando in noi emozioni spesso inascoltate, insegnandoci a sostare nel ricordo della nostra nascita e nel nostro pianto primordiale quando siamo venut* al mondo. Potenza di un evento generativo che continua a manifestarsi ogni giorno, sin dalla notte dei tempi e che necessita protezione, rispetto, silenzio e stupore. E ascolto.

Perchè l’evento nascita non è dell’operatore o operatrice che assiste, ma è della mamma, del cucciolo o cucciola e del papà. Compito di noi operatori è continuare a stupirci, promuovendo una nascita rispettata e consapevole, ogni giorno, con uno sguardo attento ai bisogni fisici e psicologici che la nascita richiede.

Cecilia Gioia

 

Ho il diritto.

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Nella Giornata dei Diritti Umani

celebro ieri, oggi e domani

quanto più immenso, speciale per me,

è avere gli stessi Diritti di te.

Il mio Diritti all’UGUAGLIANZA

parla di amore e fratellanza.

Il mio Diritti alla LIBERTA’

nuovi orizzonti mi aprirà.

Ho il Diritto alla SICUREZZA

sono prezios*, è una certezza,

e cancellare la schiavitù,

è un mio Diritto, non un tabù.

Mai più torture potranno sfiorarmi,

è un mio Diritto di sempre amarmi,

nessun arresto o esilio arbitrario,

perché ho il Diritto rivoluzionario,

ad una equa e pubblica udienza

per un giudizio imparziale e in coscienza.

Ho il Diritto di conoscere il mondo,

chiedere asilo, protezione profonda,

perché è un Diritto importante per me

sentirmi protetto e accolto da TE.

Ho il Diritto alla CITTADINANZA,

a SPOSARMI e creare FAMIGLIA,

tutto questo non ha colore,

nessuna razza e religione.

Ho il Diritto alla LIBERTA’ di PENSIERO,

di cambiare religione e il mio credo,

di esprimere le mie opinioni,

utilizzando ogni espressione.

Ho il Diritto al mio LAVORO,

ad una giusta retribuzione,

ho il Diritto al RIPOSO e allo svago,

alla MATERNITA’ come scelta che appaga.

Ho il Diritto all’ISTRUZIONE

per promuovere la comprensione,

la tolleranza e la civiltà

per il rispetto dei diritti umani e delle libertà.

Cecilia Gioia

Il ciuccio secondo un approccio bio-psico-sociale.

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Leggere il proprio bambino o la propria bambina è uno dei compiti più complessi per un genitore, soprattutto se alle prime esperienze. Perché genitori non si nasce, ma si diventa, attraverso un processo in continua evoluzione.
Negli incontri che conduco con i genitori in attesa emerge (ma solo in superfice) sempre di più il bisogno sul “fare” a discapito del “sentire” la genitorialità, come relazione continua e nutriente dove imparare a so-stare. E nutrire il confronto.

Uno dei tanti argomenti a me cari è l’uso del ciuccio, croce e delizia dei neogenitori, in un’ottica bio-psico-sociale.
Bio perché sappiamo, e l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo conferma, l’importanza di limitare l’uso del ciuccio a supporto della promozione dell’allattamento al seno, considerandolo un interferente, soprattutto nel primo mese di vita del* bambin*. Infatti l’uso del ciuccio necessita di una tecnica di suzione diversa rispetto al seno, ecco perché alcun* bambin* finiscono per confondersi, rendendo la suzione alla mammella inefficace e spesso dolorosa.
Psico, perché numerosi studi evidenziano l’influenza di tale pratica sulla relazione tra genitori e figli/e. Mi spiego meglio. Secondo i ricercatori della University of Wisconsin, infatti, il ciuccio potrebbe rappresentare una barriera alla comunicazione emotiva tra bambin* e adult*, influenzando negativamente la formazione del loro legame.

La ricerca – pubblicata sulla rivista scientifica Basic and Applied Social Psychology – ha studiato le reazioni di un campione di 29 donne alle immagini di bambin* privi o muniti di ciuccio. Grazie all’utilizzo dell’elettromiografia (EMG), i ricercatori hanno acquisito e interpretato i movimenti muscolari del viso delle donne studiate. I risultati hanno manifestato un legame tra la presenza del ciuccio e il minore impatto suscitato nelle volontarie dalle espressioni facciali del* bambin*, con un’evidente difficoltà a leggere e interpretare i suoi stati emotivi. Le donne, infatti, hanno considerato i bambini e le bambine con il ciuccio meno felici o meno tristi rispetto a quell* che ne erano priv*, dimostrando una ridotta empatia nei loro confronti. Il ciuccio, quindi, potrebbe rappresentare un  ostacolo allo sviluppo di un legame emotivo tra madri e figli/e, interferendo alle basi la manifestazione di questa importante relazione.
Sociale, perché visibilmente accettato, anzi enfatizzato per le sue proprietà miracolose, da una società sempre più sorda ai reali bisogni del* bambin* e sempre più svalutante le competenze dei genitori di rispondere a tali bisogni. Mettere un ciuccio in bocca al* nostr* bambin* equivale a dire “Siccome faccio fatica a comprendere i tuoi segnali di pianto, preferisco non ascoltarli”, “Non riesco a consolarti, meno male che hanno inventato il ciuccio!”, “Utilizzo il ciuccio altrimenti ti vizio” e potrei continuare per ore in un elenco ricco di dissonanze e frustrazioni genitoriali.
Noi genitori siamo competenti, molto più di un “tappo” (concedetemelo) di gomma.

E abbiamo uno strumento consolatorio per le nostre bambine e bambini di lunga durata, che non presenta controindicazioni e si chiama CONTATTO, strumento elettivo, psicologico e fisico, per una crescita armoniosa. Insegnamo loro che la soddisfazione dei propri bisogni passa attraverso le relazioni umane, e non attraverso l’utilizzo di un oggetto.
E allora conTATTiAMOci, comunicando consapevolmente con i nostri figli, eliminando barriere e tappi di gomma.
In una parola, godiamo del valore inestimabile del diventare genitore dei nostri figli e delle nostre figlie ricordando a noi stess* le nostre competenze nell’ interpretare i loro bisogni.

Cecilia Gioia

Bibliografia:

M. Rychlowskaa, S. Korba, Markus Brauera, S. Droit-Voletb, M. Augustinovab, L. Zinnerc & P. M. Niedenthala “Pacifiers Disrupt Adults’ Responses to Infants’ Emotions”, Basic and Applied Social Psychology, Volume 36, Issue 4, 2014

Genitori pretermine.

neonati-prematuri-serve-piu-sostegno-per-i-genitori-4178868329[2024]x[844]780x325Ci sono gravidanze che durano tanto (cit. Anna, 42 settimane) e gravidanze che terminano prima del tempo. Il parto prematuro è un evento improvviso che colpisce i neogenitori , catapultandoli in una situazione imprevedibile e sconosciuta.

Una gravidanza fisiologica dura dalle 37 alle 42 settimane, pertanto tutti i neonati che nascono prima delle 37 settimane sono da considerare “pre-termine”. Più ci si avvicina alle 37 settimane più la prematurità è modesta, al contrario tanto più ci si allontana da tale termine più diventa importante o grave.

Innumerevoli studi presenti in letteratura si sono focalizzati sugli aspetti fisiologici del parto prematuro, ma è necessario accogliere tale nascita attraverso un modello bio-psico-sociale che abbracci in maniera esaustiva il significato di un evento così importante nella vita del bambino e dei genitori.

Genitori, troppo spesso, lasciati soli negli innumerevoli vuoti che una nascita così improvvisa inevitabilmente comporta.
Una mamma e un papà prematuri necessitano di calore, accoglienza, silenzi, rispetto, cure.

Proprio come il loro bambino.

Bisogna saperli sfiorare, senza invadere il loro spazio, già sconfinato dall’imprevedibile.

E accompagnarli, un passo indietro, rispettando la giusta distanza emotiva, che permette loro di andare avanti, nonostante tutto.
I genitori pretermine hanno sguardi pieni di domande in attesa di risposte, e ogni silenzio non spiegato destabilizza un equilibrio difficile perché fatto di attimi e di segnali.

Perché cambia tutto, e i 5 sensi si amplificano per cogliere anche il più piccolo segnale del proprio bambino.

E un mondo finora sconosciuto diventa casa, dove suoni innaturali si trasformano in ninne nanne per tutti i piccoli guerrieri.
Dove è facile riconoscersi e sostenersi, ognuno con la sua storia e le sue paure, mentre le ore scorrono e la speranza cresce.

I genitori pretermine sono genitori in battaglia, genitori che guardano le loro paure più grandi negli occhi e sfidano l’imprevedibile, che graffiano la vita accarezzando i cuori dei loro bambini.

I genitori pretermine sono tanti e spesso soli, e tutti noi ne siamo responsabili.

Ogni giorno.
Cecilia Gioia

La genitorialità “arrabbiata”.

mama-1751487__340Ascolto quotidianamente le storie dei genitori, storie dense di emozioni, alcune scomode, altre morbide come una carezza, che accompagnano i miei anni di attività clinica e di genitorialità.

Perchè negli anni il mio essere madre psicoterapeuta che accompagna i genitori sin dal preconcepimento, mi ha permesso di riconoscere innumerevoli parti di me e di scoprire le incredibili sfaccettature che la genitorialità sa donare. Infinite espressioni di competenze genitoriali di cui spesso non siamo consapevoli e che facilmente sono messe a tacere quando la rabbia prende il sopravvento rivelando una genitorialità esplosiva e dolorosa. Perchè spesso i momenti di perdita di controllo con i nostri figli si alimentano dall’emergere dei nostri bisogni infantili mal nutriti, rivelando impotenza e frustrazioni che bloccano la nostra parte adulta. Sono i vuoti che ognuno di noi porta nella sua storia personale e che spesso, nella relazione genitore-figli* prendono il sopravvento, diventando più profondi ed assordanti.

Bisogna, come genitori, prendere consapevolezza che i vuoti del nostro passato esistono  e che nessuna azione possa cancellarli. In poche parole bisogna imparare a stare nel lutto per accogliere questi vuoti come parti di noi e della nostra storia.

Credo fortemente che il lavoro terapeutico che alcuni genitori intraprendono per prendersi cure delle proprie sofferenze psicologiche sia uno strumento potente che genera salutogenesi non solo nel genitore stesso, ma nella relazione con i suoi figli e/o le sue figlie e quindi, in un’ottica sistemica, con tutta la sua famiglia. Prendersi cura dei propri vuoti equivale ad integrarli come doni che arricchiscono la propria storia e la propria genitorialità rendendola unica e speciale. Quando i figli si accorgono di questo processo di guarigione, possono finalmente tornare a fare i figli, senza preoccuparsi di sanare i vuoti dei propri genitori.

Il lavoro di noi psicoterapeut* può davvero attivare questo processo mettendo al centro della relazione la genitorialità come dono che necessita accudimento, sostegno, ascolto e mai giudizio.

Il lavoro dei genitori troppo spesso “arrabbiati” invece, è quello di chiedere aiuto per prendersi cura della propria salute psicologica, per imparare ad ascoltarsi per ascoltare e per crescere come genitori consapevoli del proprio passato e proattivi nel proprio presente.

Cecilia Gioia, madre e psicoterapeuta.

 

 

 

Elogio alla psicoterapia.

Non ha un colore,

ma ha mille sapori,

ricorda l’infanzia

accoglie il dolore,

si nutre, mi nutre,

di mille saperi,

e poi mi regala

letture pioniere.

Mi insegna a scoprirmi,

a stare con me,

a vivermi dentro

le parti di me.

Mi accoglie

e mi ascolta

e sta in relazione,

mi cura davvero,

in tutti i colori.

Comprende il dolore,

sa stare in silenzio,

non tutti poi sanno

sostare nel tempo.

A volte poi piango,

ritorno bambin*,

ma lei mi rispecchia,

donandomi stima.

Imparo a vedermi,

a sentirmi davvero

attraverso il suo sguardo

da sempre sincero.

E quindi cammino,

ho accanto qualcuno

che appoggia i miei passi,

con fare sicuro;

mi incontro con lei

settimanalmente,

aspetto quel giorno

per me nutriente.

Mi prendo il mio spazio,

imparo davvero,

accetto il passato,

lo sento più vero.

Lo leggo, mi leggo,

mi accolgo e lo so,

che ho fatto il mio meglio

per vivermi ciò.

E allora mi abbraccio,

mi cullo e mi amo,

allento lo sguardo

che giudica e brama.

Cammino da sol*,

percorro la via,

ringrazio me stessa

e la PSICOTERAPIA.

Cecilia Gioia

10.10.2019 Giornata Nazionale della Psicologia

Giornata Mondiale della Salute Mentale

Ottobre lieve.

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Eppure c’è ancora molto da fare.

Questo il mio pensiero del risveglio, dopo una notte densa di immagini e sogni.

Un fisiologico stare in questo periodo di attese e di emozioni.

Perché aspettare Ottobre ha un suo perché, come periodo ricco di eventi significativi, nella mia vita di apprendista bismamma di terra e trismamma di cielo.

Due nomi scorrono nella mia mente, la Settimana Mondiale dell’Allattamento Materno e il Babyloss ovvero la Giornata Internazionale per il Lutto Pre e Perinatale. Due date importanti, per me.

Due momenti che hanno trasformato la mia vita e le mie piccole e grandi certezze.

Dopo la loro scoperta, in me tutto è cambiato.

Ho promesso a me stessa, nel mio piccolo, di provare umilmente a stare accanto alle mamme e ai papà, un passo indietro, rispettando gli spazi. Ho promesso a tutti i neonati e neonate, i bambini e le bambine, di promuovere quotidianamente la cultura del rispetto e dell’accoglienza.

E grazie alla piccola ma significativa rete di sostegno creata con MammacheMamme, molti neogenitori alle prese con l’allattamento sono stati accompagnati gratuitamente verso una genitorialità consapevole e rispettosa dei bisogni del* bambin*.

Continuando ogni giorno a diffondere l’accoglienza e la buona nascita, come momento unico e irripetibile del* bambin* e dei genitori.

Promuovendo salute e condividendo informazioni corrette, in un rituale quotidiano che conferma il valore del “dare” come occasione di arricchimento personale e comunitario.

Lo ammetto, alcune volte sono rumorosa e scomoda, perché donna di pancia e di cuore, ma sto imparando a contenere i miei frequenti brontolii provando a trasformare questa energia in azioni funzionali.

Ottobre per me è un mese che profuma di latte materno e di cielo.

Di battiti d’ali di figli portati in pancia e abbracciati ogni giorno nel cuore.

Ottobre per me ha il sapore metallico della solitudine e del dolore assordante, della mia pancia vuota e dell’etichetta di donna poliabortiva.

Ottobre, grazie a CiaoLapo è diventato per me, il mese della rinascita.

Ed ecco che le etichette, le diagnosi appena sussurrate, la pancia troppe volte vuota si trasformano in azioni a sostegno di tutti i genitori di bambini e bambini nati in silenzio. Lo ammetto, questa attesa del Babyloss, mi emoziona ogni giorno di più. Sei anni di lavoro di ascolto e sostegno alle famiglie calabresi, cinque Babyloss a Cosenza, tre incontri di Formazione per operatori e genitori in una Calabria che sta imparando, con fatica, a conoscere il lutto pre e perinatale. Questo grazie al lavoro persistente e resiliente del Gruppo di Automutuoaiuto Parole in ConTatto, ai genitori volontari e ai nostri cuccioli e cucciole silenzios* che quando si uniscono riescono a fare davvero rumore, in questa terra spesso troppo distratta.

E il quotidiano viversi si impreziosisce di doni e di piccole e grandi difficoltà.

Ma aspetto e spero,

desidero e sogno,

respiro e amo.

Ottobre per me è ri-nascita come donna, mamma di cielo e di terra e professionista, in uno spirito di sorellanza che unisce e svela.

Cecilia Gioia 

Le donne cambieranno il mondo.

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Noi donne abbiamo l’opportunità di cambiare il mondo. Ecco perchè quotidianamente incoraggio noi donne a ritrovarci nei cerchi per risvegliare il potere personale della trasformazione.

Ogni cerchio di donne ha una componente spirituale perchè ci connette l’una con l’altra, influenzando il mondo. Tutto questo avviene naturalmente, ascoltando i problemi, le ansie e le paure di altre donne e condividendo le proprie si acquisisce forza. E coraggio e fiducia.

E ritorniamo sagge, intuitive, in ascolto del nostro corpo e consapevoli del nostro baricentro.

Ecco perchè abbiamo bisogno di abbracciarci e riconoscerci, per sospendere il giudizio allenando la mente e il cuore a stare nelle differenze, ricordando un’alleanza antica che si nutre di contatti e trasmissione di saperi.

Di seguito troverete le regole delle donne sagge, tratte dal libro Le streghe non si lamentano” di Jean Shinoda, tredici spunti per riflettere e crescere:

1. le donne sagge non vivono lamentandosi, creano cambiamenti;

2. le donne sagge sono coraggiose;

3. le donne sagge hanno il pollice verde con le piante;

4. le donne sagge si fidano del proprio intuito e rispettano quello delle altre;

5. le donne sagge meditano ogni giorno e sono in comunicazione con la propria interiorità;

6. le donne sagge difendono con fermezza ciò che ritengono importante;

7. le donne sagge scelgono il proprio cammino anche con il cuore;

8. le donne sagge dicono la verità con compassione;

9. le donne sagge ascoltano il proprio corpo;

10. le donne sagge improvvisano e giocano;

11. le donne sagge non implorano con dipendenza;

12. le donne sagge ridono insieme;

13. le donne sagge apprezzano il positivo della vita e lo condividono con semplicità.

“Abbandona l’idea di diventare qualcuna, perché sei già un capolavoro. Non puoi essere migliorata. Devi solo arrivarci, comprenderlo, realizzarlo.” Osho

Cecilia Gioia