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Leggere il proprio bambino o la propria bambina è uno dei compiti più complessi per un genitore, soprattutto se alle prime esperienze. Perché genitori non si nasce, ma si diventa, attraverso un processo in continua evoluzione.
Negli incontri che conduco con i genitori in attesa emerge (ma solo in superfice) sempre di più il bisogno sul “fare” a discapito del “sentire” la genitorialità, come relazione continua e nutriente dove imparare a so-stare. E nutrire il confronto.
Uno dei tanti argomenti a me cari è l’uso del ciuccio, croce e delizia dei neogenitori, in un’ottica bio-psico-sociale.
Bio perché sappiamo, e l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo conferma, l’importanza di limitare l’uso del ciuccio a supporto della promozione dell’allattamento al seno, considerandolo un interferente, soprattutto nel primo mese di vita del* bambin*. Infatti l’uso del ciuccio necessita di una tecnica di suzione diversa rispetto al seno, ecco perché alcun* bambin* finiscono per confondersi, rendendo la suzione alla mammella inefficace e spesso dolorosa.
Psico, perché numerosi studi evidenziano l’influenza di tale pratica sulla relazione tra genitori e figli/e. Mi spiego meglio. Secondo i ricercatori della University of Wisconsin, infatti, il ciuccio potrebbe rappresentare una barriera alla comunicazione emotiva tra bambin* e adult*, influenzando negativamente la formazione del loro legame.
La ricerca – pubblicata sulla rivista scientifica Basic and Applied Social Psychology – ha studiato le reazioni di un campione di 29 donne alle immagini di bambin* privi o muniti di ciuccio. Grazie all’utilizzo dell’elettromiografia (EMG), i ricercatori hanno acquisito e interpretato i movimenti muscolari del viso delle donne studiate. I risultati hanno manifestato un legame tra la presenza del ciuccio e il minore impatto suscitato nelle volontarie dalle espressioni facciali del* bambin*, con un’evidente difficoltà a leggere e interpretare i suoi stati emotivi. Le donne, infatti, hanno considerato i bambini e le bambine con il ciuccio meno felici o meno tristi rispetto a quell* che ne erano priv*, dimostrando una ridotta empatia nei loro confronti. Il ciuccio, quindi, potrebbe rappresentare un ostacolo allo sviluppo di un legame emotivo tra madri e figli/e, interferendo alle basi la manifestazione di questa importante relazione.
Sociale, perché visibilmente accettato, anzi enfatizzato per le sue proprietà miracolose, da una società sempre più sorda ai reali bisogni del* bambin* e sempre più svalutante le competenze dei genitori di rispondere a tali bisogni. Mettere un ciuccio in bocca al* nostr* bambin* equivale a dire “Siccome faccio fatica a comprendere i tuoi segnali di pianto, preferisco non ascoltarli”, “Non riesco a consolarti, meno male che hanno inventato il ciuccio!”, “Utilizzo il ciuccio altrimenti ti vizio” e potrei continuare per ore in un elenco ricco di dissonanze e frustrazioni genitoriali.
Noi genitori siamo competenti, molto più di un “tappo” (concedetemelo) di gomma.
E abbiamo uno strumento consolatorio per le nostre bambine e bambini di lunga durata, che non presenta controindicazioni e si chiama CONTATTO, strumento elettivo, psicologico e fisico, per una crescita armoniosa. Insegnamo loro che la soddisfazione dei propri bisogni passa attraverso le relazioni umane, e non attraverso l’utilizzo di un oggetto.
E allora conTATTiAMOci, comunicando consapevolmente con i nostri figli, eliminando barriere e tappi di gomma.
In una parola, godiamo del valore inestimabile del diventare genitore dei nostri figli e delle nostre figlie ricordando a noi stess* le nostre competenze nell’ interpretare i loro bisogni.
Cecilia Gioia
Bibliografia:
M. Rychlowskaa, S. Korba, Markus Brauera, S. Droit-Voletb, M. Augustinovab, L. Zinnerc & P. M. Niedenthala “Pacifiers Disrupt Adults’ Responses to Infants’ Emotions”, Basic and Applied Social Psychology, Volume 36, Issue 4, 2014