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L’ansia, in condizioni normali, è uno stato di attivazione psicologica e organica che ci consente di affrontare le difficoltà quotidiane e la loro risoluzione. L’ansia diviene patologica, e non più adattiva, quando condiziona la qualità della vita inficiando le normali attività quotidiane. Tutto questo influenza notevolmente la percezione della realtà rendendo la persona incapace di contenere e esprimere le proprie emozioni in maniera funzionale e riducendo significamente le personali capacità di problem solving, anche nelle situazioni più semplici.
Il panico consiste in uno stato di intensa paura che raggiunge il suo picco nel giro di circa dieci minuti, caratterizzato dalla comparsa, spesso inaspettata, di almeno quattro dei seguenti sintomi: palpitazioni, sudorazione, tremori, dispnea, sensazione di asfissia, dolore al petto, nausea, sensazione di instabilità e sbandamento, derealizzazione o depersonalizzazione, sensazione di perdere il controllo, impazzire o morire, parestesie, brividi o vampate di calore.
Di solito gli attacchi di panico sono più frequenti in periodi stressanti. Alcuni eventi di vita possono infatti agire da fattori scatenanti quali la separazione, la perdita o la malattia di una persona significativa, l’essere vittima di una qualche forma di violenza, problemi finanziari e lavorativi.
I disturbi d’ansia, nelle loro innumerevoli manifestazioni, sono molto diffusi nel mondo occidentale negli ultimi anni. Il contesto socioeconomico e culturale, le relazioni familiari non ne sono la causa primaria, ma indubbiamente contribuiscono a trasformare in patologia una predisposizione di base, anche di tipo genetico.
Come psicoterapeuta ho potuto constatare quanto questi disturbi possano influenzare la qualità della vita dell’individuo, che mette in atto una serie di strategie di evitamento delle situazioni considerate ansiogene. L’approccio cognitivo comportamentale spiega gli attacchi di panico come uno stimolo incondizionato che, presentandosi in relazione temporale o spaziale con altro stimolo, fanno si che quest’ultimo inneschi una risposta condizionata che si manifesta attraverso le condotte di evitamento . Ad esempio se penso all’ascensore inizio ad avere le palpitazioni ed evito di salirci. Inoltre, gli aspetti cognitivi, ovvero i pensieri coinvolti nell’eziologia e nel mantenimento degli attacchi di panico sono spesso il risultato di “interpretazioni catastrofiche” di eventi fisici e mentali considerati erroneamente come segni di un imminente disastro. Ad esempio l’aumento del battito cardiaco può essere interpretato come un indicatore di un attacco di cuore. La Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) è considerata attualmente la terapia che ottiene i risultati migliori nel trattamento della maggior parte dei disturbi emozionali e del comportamento dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dalla comunità scientifica internazionale.
È un approccio psicologico di tipo educativo che ha come obiettivo principale far apprendere nuove modalità e abilità comportamentali e cognitive. In particolare, l’attenzione dello psicoterapeuta è posta sui comportamenti disfunzionali, sulle credenze e sui pensieri che sono alla base delle cause del disagio.
La terapia cognitivo comportamentale nel trattamento del disturbo di panico risulta quindi essere un approccio più che valido poiché permette di lavorare sia a livello comportamentale, attraverso le esposizioni, sia a livello cognitivo, tramite l’individuazione degli errori di pensiero e la ristrutturazione cognitiva, arrivando così ad ottenere un modo di pensare e leggere le situazioni più semplice, proficuo.
Cecilia Gioia