La nascita silenziosa

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Foto dal web

Mi dispiace, non c’è battito– segna un confine tra quello che è stato e quello che poteva essere, ma non è.

Perché si è trasformato in altro, rimbombando nella mente e nel cuore di chi è costretto ad ascoltare questa frase.

Anche l’aria si sospende, mentre un non tempo accoglie genitori in fuga da una realtà che squarcia e urla dolore.

Ed è proprio quel momento che determina, negli operatori, la consapevolezza del “sentire” e del “fare”. In ostetricia, non sempre fare molto significa fare meglio, ecco perché prima di qualsiasi azione è necessario ascoltarsi e ascoltare.

E capire come entrare in contatto con genitori smarriti in un vuoto troppo grande, senza avvicinarsi troppo, ricordando a noi stessi le ustioni profonde generate da quella frase pronunciata appena due minuti fa: –Mi dispiace, non c’è battito-.

Bisogna sospendersi per sostare in un qui ed ora da cui si vorrebbe sfuggire. Bisogna fermarsi e fermare pensieri interferenti che provano a distoglierci dall’immobilità e dal silenzio.

Bisogna entrare in contatto con la paura e l’impotenza che ci assale e accoglierla per accogliere.

Come operatori che lavoriamo in un punto nascita capita di provare tutto questo ed altro ancora, mentre cerchiamo le giuste parole per spiegare ai genitori cosa è possibile fare.

Perchè dopo la diagnosi noi operatori conosciamo le procedure da avviare, ripetiamo a mente le sequenze, i luoghi che visiteremo insieme ai genitori per accogliere la nascita del loro bambino o della loro bambina, ma in quel momento esatto disconosciamo il suono della nostra voce. E iniziamo a comuni-care, con lentezza, cercando di rimanere in quel qui ed ora silenziosamente rumoroso.

Spieghiamo lentamente, e accompagniamo i genitori verso il tempo indefinito di una nascita silenziosa.

Il ricovero, in ginecologia, gli esami, la revisione della cavità uterina o l’induzione del parto, a seconda dell’età del bambino o della bambina, il travaglio, la dissociazione nei genitori, il luogo scelto per il travaglio, l’attesa, il tempo che distilla ricordi ed emozioni, la disperazione, la paura, la forza e infine la nascita, silenziosa quanto assordante.

Ho imparato negli anni che si può stare in quel silenzio, onorando e rispettando la nascita come momento sacro dove la “presenza” consapevole e l’accoglienza delle emozioni fanno la differenza. E favoriscono i ricordi, mentre il tempo si ferma, tace e le emozioni urlano in silenzio.

Perché quando una mamma, e un papà, mettono al mondo il loro bambino o la loro bambina nat* mort*, ci sentiamo, come operatori, travolti da emozioni contrastanti. Perché è davvero troppo contenerle tutte. E allora, negli anni, ho imparato a farmi attraversare, restando immobile, mentre fluiscono lentamente segnando solchi di esperienza e ricordi che ogni nascita silenziosa ha deciso di donarmi.

E poi il contatto con il bambino o la bambina, la vicinanza, l’abbraccio, il ricongiungersi, il respiro sospeso dei genitori, lo sguardo, l’amore assoluto che ci travolge e ogni volta, ci stupisce per la sua immensa dignità. La cura verso quella nascita, i vestiti scelti durante l’attesa mentre mani sapienti e rispettose delle ostetriche vestono un amore così grande. E poi le carezze, i nostri sguardi di operatori, verso tanta dolcezza. Perché i bambini e le bambine nat* mort* sono un amore senza fine, e hanno bisogno di tenerezza, rispetto e cura. Come i loro genitori, che se sostenuti adeguatamente dal personale, possono stare in contatto con la loro creatura. Abbracciarla, baciarla, esplorare le manine e cercare in quei tratti somiglianze. Ecco, in quel momento esatto, in noi operatori, il battito rallenta, il respiro è più lento, il tempo può tornare a scorrere, le immagini si integrano, mentre una famiglia si riconosce il diritto del suo tempo, sfidando anche la morte. E rendendoci tutti più consapevoli.

Perché sin dal momento della diagnosi, noi operatori possiamo contribuire ad avviare quel processo lento, doloroso per attraversare il lutto in gravidanza e dopo la nascita.

E fare la differenza.

Cecilia Gioia

 

 

 

 

 

Un pensiero su “La nascita silenziosa

  1. Barillari Marianna ha detto:

    È una realtà dal quale si vorrebbe fuggire…Tutto rispecchia il mio vissuto! Solo che il mio travaglio di morte io l’ho vissuto in una stanza in corsia,mentre si festeggiava la vita accanto.Forse se ciò che stava accadendo avesse avuto il rispetto che meritava ,avrebbe impedito alle cicatrici di lasciare un cheloide a rammentare il dolore.Forse se il silenzio di cui parli non fosse stato riempito da frasi sciocche ,avrei avuto la possibilità di insistere e trattenere fra le mie braccia l’amore che non ho potuto più stringere…Forse…Ma oramai chi può più dirlo!

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