Troppo spesso leggiamo articoli o libri che presentano l’intelligenza emotiva come la chiave di adattamento funzionale alla vita e ai suoi imprevisti. Una fitta rete di parole che descrive questo tipo di intelligenza, evidenziando le competenze individuali e sociali affinché ci sia equilibrio tra cuore e il cervello. Un paradosso solo apparente che invece sottolinea quanto sia necessario favorire l’espressione di tale intelligenza considerandola una funzione adattiva e protettiva della Persona. Essere emotivamente competenti significa conoscere consapevolmente le proprie emozioni, la loro intensità e l’effetto che provocano in se stess* e sugli altri.
Al contrario ahimè, il guardarmi intorno mi evidenzia quotidianamente un fenomeno sempre più evidente che coinvolge davvero tutt* e che si identifica come ignoranza emotiva. A livello semantico la parola lascia ben poco spazio all’immaginazione, perché ben chiara e definita. Simbolicamente parlando immagino l’ignoranza emotiva come una vera e propria lacuna della psiche dove è difficile sintonizzarsi e riconoscersi nelle proprie emozioni e in quelle altrui e dove è facile perdersi in un Io poco nutrito della linfa vitale emotiva, necessaria per la nostra sopravvivenza.
Ma come si promuove l’ignoranza emotiva?
Le emozioni sono una serie di cambiamenti che si registrano nel nostro corpo, nei nostri pensieri e nei nostri comportamenti che la Persona utilizza in risposta ad un evento. Possiamo definire le emozioni come un’esperienza intensa e passeggera che ci permette di entrare in contatto con gli altri, favorendo o ostacolando l’apprendimento. Alcune sono innate e definite primarie, altre nascono dalla combinazione delle emozioni primarie sviluppandosi grazie alla crescita della Persona e alle sue interazioni con l’ambiente. A dirla tutta le emozioni sono la nostra bussola, elemento fondamentale per orientarci nel mondo delle relazioni e degli eventi. Ma ritorniamo all’ignoranza emotiva e al suo dilagare incessante in un mondo sempre più distratto.
Troppe volte mi scontro con parole come CONTROLLO e GESTIONE, sostantivi claustrofobici che poco si sposano con tutto ciò che è fluido ed evolutivo.
Perché le emozioni non si gestiscono, né si controllano e ancor meno si combattono. Perché fare questo vuol dire rinnegarne il significato più profondo, dimenticando la via elettiva per sfruttare al meglio il loro valore nella nostra vita.
Perché le emozioni si accolgono, si ascoltano e si riconoscono, in un esercizio quotidiano e costante che genera adattamento e consapevolezza.
Perché ogni qualvolta snaturiamo l’essenza più profonda delle emozioni, diventiamo sempre più ignoranti emotivamente. Perché è difficile comprendere se non ascolto. E non riconosco.
Perché l’intelligenza emotiva è un’abilità, e come tale va esercitata, ogni giorno.
Perché è facile parlare di emozioni, ignorandone il loro vero significato.
Perché parlare (correttamente) di emozioni, sin dal preconcepimento, vuol dire promuovere salute psicologica. E come psicolog* noi sappiamo bene che le parole sono importanti.
Cecilia Gioia