Cam-bia-mén-to, parola complessa, distrattamente ripetuta e scarsamente interiorizzata, in un quotidiano denso di promesse e di piccole e grandi delusioni che accompagnano il nostro vivere.
Proviamo insieme a ricordare l’ultima volta che abbiamo pronunciato la fatidica frase :“Basta, questa volta voglio cambiare davvero!” tentando di rievocare il ricordo che ha accompagnato questa promessa. E mentre proviamo a rievocare, scorrono immagini in cui il pensiero non è stato seguito dall’azione, bensì da una fase limbica e stagnante dove diventa scomodo so-stare in attesa di un cambiamento concreto. Cambiamento che avviene davvero quando scelgo consapevolmente di intraprendere un percorso di psicoterapia. Scelta complessa, impegnativa, che rivela una scintilla primordiale di cambiamento nel momento in cui decido di prendermi cura di alcuni aspetti di me, chiedendo aiuto. Perché cambiare è un processo dinamico che consiste nell’acquisire progressivamente consapevolezza di me stesso, sperimentando nuove strategie per superare delle difficoltà attraverso nuove scelte.
Chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta significa darsi l’opportunità di incontrare i propri limiti, riconoscerli per sollecitare in noi stessi le risorse necessarie per attivare il cambiamento. Significa imparare a “stare” nelle innumerevoli contraddizioni che ci appartengono e che spesso non riusciamo a decodificare chiaramente.
Secondo la psicoterapia cognitivo-comportamentale ognuno di noi costruisce la propria idea di realtà e di mondo attraverso la costruzione di schemi mentali che sono alla base poi del modo con cui interpretiamo il mondo. Secondo questo modello esiste una stretta relazione tra pensieri, emozioni e comportamenti e che le difficoltà emotive con cui si manifesta il sintomo siano influenzate dai nostri pensieri e dalle nostre azioni. Poiché tutto ciò che noi viviamo è apprendimento, noi costruiamo la nostra realtà interna a a partire dalle esperienze che facciamo dal preconcepimento in poi.
In questa prospettiva anche il disagio psicologico, è conseguenza dell’apprendimento di schemi comportamentali, emotivi e di pensieri errati, derivanti dall’interpretazione disfunzionale dell’esperienza di vita della persona. Questo significa che la psicopatologia è la conseguenza della costruzione di convinzioni cognitive non adeguate da cui derivano comportamenti non funzionali ed emozioni dolorose, che influenzano notevolmente la qualità della vita.
L’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la salute come “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”. Quando si parla di salute quindi non si può non avere in mente anche la salute mentale.
Con l’espressione “salute mentale” si fa riferimento ad uno stato di benessere emotivo e psicologico nel quale la persona è in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali, esercitare la propria funzione all’interno della società, rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, partecipare costruttivamente ai mutamenti dell’ambiente, adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni.
Ed è proprio in un’ottica di salutogenesi che il processo di cambiamento in psicoterapia ben si inserisce nella vita della persona promuovendo nuove risorse e strategie adattive che migliorano la capacità di relazione con se stessi e di azione nel mondo. La poesia di Portia Nelson descrive perfettamente il processo di cambiamento che avviene attraverso il percorso della psicoterapia: dal senso di impotenza data dall’idea di non avere scelta, alla consapevolezza che nuove opzioni sono possibili e alla possibilità di concretizzarle.
Cecilia Gioia
Autobiografia in 5 brevi capitoli
di Portia Nelson
I
Cammino per la strada.
C’è una profonda buca nel marciapiede.
Ci cado.
Sono persa.
Sono impotente.
Non è colpa mia.
Ci vorrà un’eternità per trovare come uscirne.
II
Cammino per la stessa strada.
C’è una profonda buca nel marciapiede.
Fingo di non vederla.
Ci ricado.
Non riesco a credere di essere nello stesso posto.
Non è colpa mia.
Ci vuole ancora molto tempo per uscirne.
III
Cammino per la strada.
C’è una profonda buca nel marciapiede.
Vedo che c’è.
Ci cado ancora… è un’abitudine.
I miei occhi sono aperti.
So dove sono.
E’ colpa mia.
Ne esco immediatamente.
IV
Cammino per la strada.
C’è una profonda buca nel marciapiede.
La aggiro.
V
Cammino per un’altra strada.