Metafore

impastare

-Deve essere dura– diceva nonna Filomena, –molto dura– conferma mia madre- dura e difficile da impastare all’inizio, ma se la lavori bene ti darà grandi soddisfazioni-.

Su queste due raccomandazioni suggerite da un femminile generazionale che ha segnato la mia vita, ho iniziato a impastare farina e acqua. Ho dosato bene, attentamente, mentre ripetevo in me le parole apprese –deve essere dura– mentre un impasto ribelle, spesso difficile da compattare sfuggiva alle mie mani – dura si, un po’ come la vita– ho aggiunto io, mentre movimenti sapienti accarezzavano due elementi che prendono forma.

Farina e acqua, insieme. Il semplice che diventa lavorato, uno stato in polvere e uno liquido che danno vita a un composto compatto e sodo. Una trasformazione sotto le nostre mani che ci ricorda la metafora del nostro Essere. In fondo anche noi spesso ci trasformiamo, cambiamo pelle, ci rigeneriamo e ci ri-diamo vita. E mentre i movimenti ormai naturali scorrono sulla spianatoia, ricordo quando fare la pasta per me era un momento davvero speciale. Le immagini si susseguono in un ritmo ri-conosciuto e la mente rievoca anche i profumi di quei momenti. Mi rivedo bambina, con un grembiule rosso (perché il rosso ha segnato sempre i momenti importanti della mia vita), accanto ad una nonna sapiente quanto misteriosa, perché custode di un femminile segnato. Le sue mani rugose si muovono sapientemente miscelando antiche pozioni mentre l’indefinito prende forma lentamente. E la danza di una donna che impasta si svela, in un ritmo silenzioso ricco di significati. Io da piccola mi lasciavo travolgere da questa danza, rimanevo estasiata dal potere di un femminile che dava vita, che creava e condivideva, in uno spazio temporale dove il pranzo domenicale era un momento davvero speciale. Ricordi che scorrono, mentre le mie mani continuano a impastare un composto ribelle. Tra le dita scorre farina, mentre l’acqua aggiunta gradualmente dona un lieve sollievo a movimenti che diventano sempre più ritmici ed efficaci. Ed è così che in quei momenti il femminile delle mie antenate rivive, si nutre e nutre in questo gesto tanto antico ma sempre attuale. E mentre la mia pancia si allinea a tutte le pance di donna che mi hanno generato, godo del fare e del sentire in un istante che dura un’eternità.

E impasto, continuo e accarezzo, trasformo, prendo a pugni, rallento, accellero, mi fermo fino a quando le mani fanno davvero male. Allora Sto, e rivivo altri ricordi, di me bambina curiosa e assetata di segreti, che tempestava di domande, la sua nonna misteriosa. Ho sempre immaginato mia nonna come custode di grandi segreti, segreti di un femminile svelato negli anni, quando i miei sguardi consapevoli hanno preso il posto delle mie trecce. Quando ho scoperto che la durezza dell’impasto è un po’ come la vita. Quando ho ripercorso le tracce segnate delle mie antenate. Quando ho iniziato a scrivere e amare senza remore, un femminile misterioso e magico. Quando ho deciso finalmente di Stare.

Cecilia Gioia

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