Alzi la mano chi (almeno un centinaio di volte, sic!) non si sia mai sentito in dovere di giustificare una propria scelta comportamentale.
E non abbia mai constatato quanto questa decisione si sia rivelata poco funzionale a un cambiamento, o a vincere un disagio personale.
Bene, se l’argomento può interessarvi mettiamoci “comodi” e ascoltiamoci; e sempre se vi va, raccontiamoci questo diritto e cosa rappresenta per noi.
In realtà, nessuno ci obbliga a esplicitare agli altri i motivi dei nostri comportamenti: siamo liberi di scegliere se condividere o no la nostra sfera personale. Ed ecco che emergono silenziosi i tanto famosi “confini”, “dogane” legittime e necessarie che tutelano la nostra parte più intima e, spesso, poco “ri-conosciuta”.
In realtà troppe volte percepiamo una sensazione di “assenza di confini” rispetto agli innumerevoli stimoli che il vivere quotidiano ci presenta, o “sentiamo” i nostri confini come troppo permeabili, barriere che mal proteggono il nostro “viverci” in maniera più profonda.
E allora che fare?
Una strategia è considerare questo diritto come un punto fermo all’interno del mare dei rapporti interpersonali, una sorta di bussola che ci ricorda quelli che sono i doveri e i diritti verso noi stessi e gli altri.
Ma quanto è ingombrante questo pensiero dentro di noi? Quanto è difficile conoscere e mantenere i propri confini, legittimandosi il diritto di non giustificarsi?
Ammettiamolo: siamo affetti da un virus cognitivo (io li chiamo così) che ci “obbliga” ad agire secondo prassi sociali, una sorta di etichetta interiorizzata e collettiva che, ahimè, si dimostra, nei fatti, nociva per la nostra salute psicofisica. Non sempre però riusciamo a farne a meno, causa un apprendimento disfunzionale strutturato negli anni, che sostiene questo pensiero irrazionale dell’ “Io Devo”.
Giustificare i nostri comportamenti attraverso scuse e argomentazioni equivale a svalutare le nostre scelte, giuste o poco funzionali che siano, alleviando il disagio che si prova nel sentirsi addosso la “responsabilità dell’azione”, elemento nutriente che sostiene il vivere quotidiano.
Ma che effetto fa sentirsi totalmente responsabili di un comportamento e scegliere di manifestarlo o meno? In un contesto quotidiano dire “sono stanco, ho bisogno di un’ora per me” (che, a livello comportamentale, equivale a un Time Out) “deve” essere necessariamente giustificato?
E quante volte questo bisogno fisiologico di fermarsi è stato soffocato dai “DEVO” o “”, veri e propri elementi interferenti che rendono inadeguata la sopravvivenza e il benessere personale d tutti noi?
Caspita quante domande in attesa di risposte… Ma lasciamoci così, con questi punti di riflessione con-divisi, e proviamo a sospendere i nostri pensieri, per ri-incontrarci al più presto, per raccontarci e “sentirci”.
Tutti i viaggi alla scoperta di noi stesse cominciano con un primo passo…E allora buon cammino a tutti!
Cecilia Gioia
tratto da http://www.bambinonaturale.it