Chissà quante volte ce lo siamo sentite/i dire, quasi come un ignaro intercalare che si insinua e che si posiziona in frasi spesso abbandonate in superficie.
“Non ci pensare, fidati” ha poi un non so che di paradossale, una raccomandazione che agisce su di me rinforzando negativamente un mio pensiero già abbondantemente presente.
E allora ci penso, eccome se ci penso. Penso che non è facile lasciare andare i propri pensieri.
Penso che se ricevo questa frase, probabilmente sono stata ascoltata poco, in superficie; sfiorata solo da un ascolto distratto e melanconico, poco aperto all’accoglienza dei miei pensieri rumorosi e un po’ invadenti.
E penso a quanto è difficile fare spazio ai propri e altrui pensieri, soprattutto quelli più spigolosi.
Io per esempio da un po’ di giorni ho un pensiero predominante e impudente. Uno di quei pensieri che non ti molla, che riflette le tue giornate con prospettive dissonanti, ingombrando il mio qui ed ora.
Un pensiero scomodo, anche sfacciato perché nutrito da una mia resistenze all’accoglienza.
Lo so, dovrei abbracciarlo, magari camminare un po’ insieme a lui, raccontarmi e attraverso l’ascolto, provare a comprenderlo, ma faccio fatica e lo evito.
E lui puntualmente torna, punzecchia il mio equilibrio, risveglia vecchi ritmi, decreta nuovi inizi.
Quasi decide, eccome se decide. Ed io….
E allora mi arrendo,
mi faccio attraversare,
non posso fronteggiarlo
e non voglio stare male.
Lo guardo negli occhi,
un po’ arrabbiata,
vorrei detestarlo
ma sono bloccata.
In fondo lo so,
non è colpa sua,
del resto l’eterno
non spetta a lui.
E quindi preparo
valigie e ricordi,
raccolgo conchiglie,
ascolti e bisogni.
Ritorno, ritorno
al mio lavoro,
finite vacanze
riprendo il mio suono.
Di ritmi veloci,
di ritmi incalzanti
ma anche di pause
e rigeneranti silenzi.
E quindi
pensiero
che da giorni
mi assilli,
ammetto sei scomodo,
e porti scompiglio.
Ma due settimane
di ferie, si sa,
non posson durare
un’eternità.
Cecilia Gioia
Dedicata al mio ultimo giorno di ferie. Oggi.