Da 15 anni esercito strategicamente un ascolto “altro”.
E in questi anni di training (in)consapevole, le modalità di ascoltare “dentro” hanno subito varie trasformazioni, grazie all’esercizio di confronto con l’altro me, ogni giorno.
E le varie tecniche apprese, studiate, masticate e digerite hanno accompagnato questi 15 anni di lavoro su me stessa e sulle mie spesso (in)consapevoli barriere.
Si, perché ascoltare l’altro significa ascoltare ogni singola espressione della nostra psiche, spesso silenziosamente rumorosa.
Significa aver imparato a fare spazio alle innumerevoli variazioni che la vita ci riserva.
Significa saper stare anche quando il bisogno primario è quello di scappare dalle piccole e grandi consapevolezze che l’ascolto interiore inevitabilmente ci svela, ogni giorno.
Significa accettarsi, accogliersi, respirarsi, donarsi e amarsi in ogni singola cellula di noi.
Oggi per me ascoltare l’altro significa saper stare in silenzio. E non parlo solo dell’assenza della comunicazione verbale, bensì di un silenzio interiore che accoglie e fa spazio anche a contenuti dolorosi e spesso faticosamente accettabili.
Perché il silenzio è morbido, è ricco di pieghe di respiri, di (im)percettibili sfumature, di infinite braccia accoglienti e di sospensioni di giudizio.
E sa cogliere la densità delle emozioni, come una tela bianca permette a l’altro di dipingersi narrando paesaggi di sé.
Perché sa osservare e osservarsi, in un’osmosi nutriente di scambi interiori che rivelano la grande bellezza spesso sottovalutata, dell’altro e di noi stessi.
Oggi più che mai, voglio ringraziare il dono del silenzio.
Oggi più di ieri, voglio celebrarlo come luogo sacro, ricco di significanti e significati. E di opportunità.
Perché so che il silenzio che quotidianamente esercito nell’ascolto “dentro” è frutto di un esercizio costante che non si ferma mai.
Perché fa bene so-stare dentro il silenzio, per narrare e narrarsi senza limiti.
Cecilia Gioia