Hai il diritto di scegliere se trovare una soluzione ai problemi degli altri.

Quante di noi, scelgono almeno una volta al giorno di indossare i panni della crocerossina per promuovere il pensiero surrealista del “Se non me ne occupo io, chi può farlo?sindrome-di-atlante-narcisismo

E se alcuni di noi si riconoscono in questa nota “Sindrome dell’Io ti Salverò”, facciamo un bel respiro, di quelli che ossigenano corpo e pensieri, e ascoltiamoci.

Provare a identificare i vari virus cognitivi che albergano nella nostra mente è quanto di più funzionale possa esistere, per un viaggio nutriente dentro noi stessi e il nostro modo di percepirci. Sarà che ci hanno insegnato che bisogna soddisfare i bisogni dell’altro, sarà che è “meglio” non deludere le aspettative, sarà che ci piace sentirci utili ed efficaci, resta il fatto che  spesso ci trasformiamo in SuperEfficienti Risolutori dei Problemi Altrui, dimenticando i nostri bisogni e “violentando” i nostri fisiologici tempi per ascoltarli.

Tutto questo per alimentare in noi delle idee irrazionali (Ellis, 1989) che impoveriscono le nostre risorse energetiche e promuovono questi pensieri: “Devo sempre occuparmi io dei problemi degli altri, se non lo faccio sono un’egoista”. Capite bene che quando un pensiero di questo tipo decide di abitare dentro di noi, le conseguenze che ne derivano sono catastrofiche.

Mi spiego meglio.

Rispondere “sempre” ai bisogni altrui ci fa sperimentare un senso di “eccessiva e irreale” efficacia, rinforzata soprattutto dai feedback di chi beneficia costantemente delle nostre strategiche e immediate soluzioni.

Tutto questo a discapito di un fisiologico ascolto del “VOGLIO”, che lascia il posto al “DEVO”, già parte integrante, ahimè, del nostro quotidiano vivere. E il modello salvifico “Stai tranquillo, ci penso io” assume sempre più valore, de-nutrendo i nostri bisogni.

Ma oggi voglio proporvi una riflessione, un virus “buono” che ri-genera: pensiamo ai nostri figli e alle competenze che vogliamo promuovere in loro. Immaginiamo tutte le volte che ci osservano e che, come spugne, assorbono alcuni nostri comportamenti. Prenderci cura dei nostri bisogni, legittimandoli come nutrienti di cui non possiamo fare a meno, equivale a insegnare ai nostri figli a fare altrettanto, rendendoli consapevoli di quanto sia necessario ascoltare la loro parte desiderante.

E allora un sano “No, non me ne occupo” ci protegge, ci cura e fa bene a chi ci sta intorno e ci osserva.

Adesso, quindi, un po’ di silenzio, momento unico e irripetibile per accogliere parole vibranti come queste: “Non conosco una via infallibile per il successo, ma soltanto una per l’insuccesso sicuro: voler accontentare tutti”(Platone).

Buon ascolto!

Cecilia Gioia

tratto da http://www.bambinonaturale.it

Hai il diritto di cambiare le tue opinioni.

Gestionando_2-pecerasRiflettendo, questo quarto diritto racchiude dentro di sé il requisito fondamentale per vivere bene.

Non riconoscere a noi stessi questa possibilità, può renderci poco flessibili e refrattari a un potenziale cambiamento. In fondo cambiare ci fa paura, ci destabilizza e ci rende meno sicuri. Meglio scegliere di cristallizzarci, ancorandoci spesso a idee e opinioni non sempre masticate e digerite, che ci conferiscono la sensazione di essere con gli altri e come gli altri.
Lo ammetto, sono un po’ ruvida, ma amo profondamente le differenze, le considero un valore unico che rende il nostro essere “umani” una piacevole scoperta da coltivare ogni giorno.

Tempo fa, quanto più percepivo le mie idee “stabili” e spesso irreversibili, tanto più sperimentavo una percezione di illusoria sicurezza e controllo verso i miei pensieri e le mie indiscutibili certezze.

Approccio scarsamente funzionale che non ha tenuto conto della variabile “imprevisti”, e che non ha attutito (sic!) lo scontro con una realtà non sempre accondiscendente. Con queste premesse comportamentali, ogni imprevisto su di me ha lasciato un segno.

Ma in fondo cosa rappresenta per noi cambiare opinione? Quando non ci riconosciamo il diritto di cambiare le nostre idee, decidiamo consapevolmente di non crescere. Tutto questo a discapito di uno scarso nutrimento dell’Io, che diventa evitante a qualsiasi confronto con l’altro, occasione per cambiare prospettiva.

Probabilmente il motivo di fondo alla base di questa scarsa flessibilità è dato dalla identificazione delle nostre idee con il nostro Io. Ma udite, udite, noi non siamo le nostre idee e proprio per questo abbiamo il diritto di cambiarle ogni qualvolta ci accorgiamo di sentirle scomode.

Passare da un’opionione all’altra, senza mai perdere l’entusiasmo di cambiare ogni volta prospettiva, ci insegna a vivere la nostra esistenza nel pieno delle nostre possibilità, assumendoci consapevolmente la responsabilità dell’azione.

Riconosciamoci il diritto di scoprire dei limiti nelle nostre idee, assecondiamo la nostra fisiologica, quanto necessaria, predisposizione naturale verso il cambiamento. Non inibiamo la nostra voglia di scoprire nuove prospettive e possibilità, anzi mettiamoci in gioco sor-ridendo delle nostre pseudocertezze. Lasciamoci andare a tutto questo e altro ancora, ricordando il valore del nostro Io, per scoprire i nostri confini e decidere poi, di andare oltre.

Permettiamo a noi stessi di cambiare, è un nostro diritto. Da sempre.

Cecilia Gioia

tratto da http://www.bambinonaturale.it

La psicologia italiana raccontata a mia figlia

Questa è la partenza per un viaggio, un viaggio in un pezzo di storia della psicologia italiana, un racconto per curarne la memoria.
Incontrare amici e personalità che hanno costruito la struttura della professione nel nostro paese, ci ha restituito quei fermenti culturali delle epoche e delle città, sui quali si è sviluppata la psicologia italiana.
Un’operazione della memoria per rinvigorire le radici che alimentano lo sviluppo della psicologia.

Il modello Cognitivo Comportamentale

Lefficacia terapia cognitiva tradate locate 2a psicoterapia cognitivo-comportamentale è una delle più diffuse psicoterapie per la terapia di diversi disturbi psicopatologici in particolare dei disturbi dell’ansia e dell’umore. Si tratta di una disciplina scientificamente fondata, la cui validità è suffragata da centinaia di studi. La psicoterapia cognitivo-comportamentale, come suggerisce il termine, combina due forme di terapia estremamente efficaci:
La psicoterapia cognitiva: aiuta ad individuare certi pensieri ricorrenti, certi schemi fissi di ragionamento e di interpretazione della realtà, che sono concomitanti alle forti e persistenti emozioni negative che vengono percepite come sintomi e ne sono la causa, a correggerli, ad arricchirli, ad integrarli con altri pensieri più oggettivi, o comunque più funzionali al benessere della persona.
La psicoterapia comportamentale: aiuta a modificare la relazione fra le situazioni che creano difficoltà e le abituali reazioni emotive e comportamentali che la persona ha in tali circostanze, mediante l’apprendimento di nuove modalità di reazione. Aiuta inoltre a rilassare mente e corpo, così da sentirsi meglio e poter riflettere e prendere decisioni in maniera più lucida.
La terapia cognitivo-comportamentale (TCC) è una psicoterapia sviluppata negli anni ’60 da A.T. Beck.
È una terapia strutturata (si articola secondo una struttura ben definita, benché non in maniera rigida, per assicurarne la massima efficacia), direttiva (il terapeuta istruisce il cliente ed assume attivamente il ruolo di “consigliere esperto”), di breve durata (cambiamenti significativi sono attesi entro i primi sei mesi) ed orientata al presente (è volta a risolvere i problemi attuali).
Essa è finalizzata a modificare i pensieri distorti, le emozioni disfunzionali e i comportamenti disadattivi del cliente, producendo la riduzione e l’eliminazione del sintomo e apportando miglioramenti duraturi nel tempo.
La terapia cognitivo- comportamentale è una terapia breve che agisce in un ampio raggio di problemi psicologici, come la depressione, l’ansia, la rabbia, i conflitti coniugali, le paure e l’abuso/dipendenza da sostanze.
Il focus della terapia è incentrato su come pensi, agisci, comunichi oggi piuttosto che sulle esperienze dell’infanzia. Inoltre, dal momento che il paziente apprende ad auto-aiutarsi, diviene abile nel mantenere i miglioramenti acquisiti durante la terapia anche dopo la fine di questa.

COME AVVIENE LA VALUTAZIONE DEI PAZIENTI: Quando si comincia una terapia cognitivo- comportamentale, il terapeuta chiede di compilare alcuni questionari che servono per valutare il range di sintomi e problemi. Questi strumenti valutano la depressione, l’ansia, la rabbia, le paure, i disturbi fisici, la personalità e lo stile relazionale. Lo scopo di questa valutazione è quello di acquisire più informazioni possibili su come sta il paziente, così da comprendere velocemente quali problemi abbia (o non abbia) e quanto gravi questi siano.

PROGRAMMAZIONE DEL TRATTAMENTO: Paziente e terapeuta lavorano insieme per sviluppare un programma terapeutico. Questo include la frequenza degli incontri, la rilevanza di assumere farmaci o no: la diagnosi; gli obiettivi; l’acquisizione di competenze mirate; i cambiamenti che sono richiesti per modificare il modo in cui il paziente pensa, si comporta e comunica ed altri fattori…

COME SI STRUTTURA UNA SEDUTA: Alcuni altri tipi di terapia hanno un andamento della seduta non strutturato, mentre la terapia cognitivo- comportamentale prevede che all’inizio di ogni incontro paziente e terapeuta decidano un ordine del giorno che contenga le cosa fare. Tale “agenda” può includere la revisione delle cose dette nelle precedenti sedute, i compiti, uno o due problemi contingenti, una revisione finale di quanto appreso nella seduta attuale e i compiti per la settimana successiva. Lo scopo è quello di risolvere i problemi e non di lamentarsi solo di essi.

COMPITI DI AUTO-AIUTO: Esattamente come richiesto dal un personal trainer in palestra, la terapia cognitivo-comportamentale richiede che si faccia esercizio anche in mancanza del terapeuta. Ciò che si apprende nella terapia è ciò che occorre che si possieda e che diventi proprio al di fuori della terapia.
Ricerche hanno dimostrato che i pazienti che svolgono a casa i compiti dati in seduta raggiungono i risultati più in fretta e li mantengono più a lungo di chi non lo fa. I compiti di auto-aiuto possono includere il monitoraggio dell’andamento del proprio umore, dei propri pensieri e dei propri comportamenti; l’elenco delle attività svolte; la raccolta di informazioni; il cambiamento del modo in cui si comunica con gli altri e altri compiti.

La letteratura scientifica internazionale ha riportato l’efficacia della psicoterapia Cognitivo Comportamentale  per il trattamento dei seguenti disturbi:

Disturbi d’Ansia

Disturbi del tono dell’umore

Disturbi dell’alimentazione

Disturbi del sonno

Disturbi sessuali

Dipendenze comportamentali

Questo articolo è tratto da:

“Treatment Plans and Interventions for Depression and anxiety Disorders” by Robert L.Leahy and Stephen J. Holland. Copyright 2000 by Robert L. Leahy and Stephen J. Holland. Trad. It. Gaia Vicenzi