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Tema familiare per chi lavora quotidianamente nell’incontro dell’altr* e che apre inevitabilmente mille interrogativi.
Mai come in questo periodo risuona fortemente nella nostra coscienza individuale e collettiva il bisogno di ritrovare la radice che sta alla base della convivenza, ovvero la capacità di mantenere quotidianamente uno spazio intersoggettivo che favorisca la somma dell’io e del tu. In altre parole abbiamo bisogno di nutrirci di relazioni efficaci, incontrando l’altr*, imparando a stare in questo luogo per gustarne a pieno le differenze.
Entrare in questo “spazio intersoggettivo” significa imparare a so-stare nel paradosso dell’incontro: l’altr* è colui che identifico fuori di me, separato, fuori dal mio campo personale, ed è nel suo essere fuori che può entrare dentro, in un’osmotico scambio di similitudini e differenze.
Spesso però, entriamo in relazione con gli altri non riconoscendo loro una propria identità. Questo si verifica quando non riusciamo a so-stare nel paradosso dell’incontro, considerando l’altr* un’estensione di noi stessi, una proiezione dei nostri valori attraverso cui rivivere esperienze passate o soddisfare i nostri bisogni.
Spesso questo accade e crea in noi l’illusione di possedere l’altro, alimentando e consolidando dinamiche di distruzione. Ed è proprio in questo possedere che l’altr* viene percepito come oggetto, indipendentemente dalla relazione stabilita evidenziando un paradosso mai come in questi tempi attuale: chi alimenta il possesso è sol*, perché l’atto di possedere esclude la possibilità dell’incontrare.
Ecco perchè, in tempi così duri, abbiamo bisogno di stabilire relazioni con l’altr* per incontrare noi stessi. La relazione dunque si trasforma in uno specchio, non sempre comodo, che riflette immagini non sempre rassicuranti.
Ed è proprio nei riflessi scomodi che percepiamo il dolore dell’incontro, cercando disperatamente di allontarci da quel dolore, mettendo in atto, ahimè, strategie di evitamento e intolleranza. Odiamo l’altr*, lo percepiamo minaccios*, desideriamo che scompaia alla nostra vista, dimenticando che l’altr* è solo una delle mille variazioni di noi.
Perchè so-stare nell’incontro con l’altr* ci insegna a so-stare con noi stess*.
Perchè accogliere i riflessi scomodi dell’altr*, ci insegna ad accogliere e integrare tutte le nostre parti, tutti gli innumerevoli pezzetti che abbiamo sviluppato nella nostra esperienza di vita. Ed è in quell’unità individuale che è possibile aprirsi all’altr*, in modo autentico, scoprendo il gusto della diversità, come risorsa evolutiva per vivere.
Cecilia Gioia